Caro Michael
18 Aprile 2012
Caro Michael,
quel giorno in Piazza Castello c’erano uomini grandi e grossi in lacrime, ed ero in lacrime anch’io.
Eppure ad un certo punto, insieme a pochi altri coraggiosi, ho cominciato a ballare.
Fra la mancanza di spazio e la spossatezza credo di non aver mai ballato peggio in tutta la mia vita… Ma dovevo, perché uno come te non può essere ricordato esclusivamente col pianto:
tu non ti limitavi ad ascoltare “la danza del Creatore”, tu ne eri parte integrante.
Sulle note di Beat It ho picchiato sulla spalla di Mirella – una ragazza conosciuta pochi minuti prima – e le ho chiesto di ricreare con me la scena di lotta del videoclip. Naturalmente in mano avevamo coltelli immaginari.
Ma come si fa a spiegalo a chi non ti ha vissuto? Come si fa a spiegare l’empatia che si crea fra chi ti ama davvero?
Forse è perché la tua musica non solo si ascolta, ma si sente; forse perché le tue canzoni sono piccoli frammenti d’anima.
Da quando avevo quattordici anni ti considero uno degli uomini della mia vita; è a dir poco assurdo quanto tu sia stato capace di farmi sognare e di svegliarmi al tempo stesso! È con te che ho cominciato a capire la perversione dell’informazione odierna, ed è sempre con te che ho capito quanto sia necessario, giorno per giorno, fare del proprio meglio per guarire il mondo. Un pezzo come Earth Song può cambiarti l’esitenza.
Non sono mai riuscita a comprendere come tanti potessero detestarti; la risposta ad ogni domanda su di te era lì, nei tuoi occhi, ma probabilmente erano troppo impegnati a chiedersi a quanti interventi di chirurgia plastica ti fossi sottoposto.
La verità è che guardavano il tuo naso perché incapaci di guardare ad un palmo proprio.
La verità è che la stessa gente ti santifica, adesso che sei morto.
Ma tutte queste cose le sapevi; da un lato m’imbestialisco e dall’altro provo un’infinita tenerezza nei tuoi confronti, pensando che comunque li perdoneresti tutti.
Però quel giorno – in Piazza Castello – a salutarti c’era gente che ti amava davvero, estranea ai fiumi d’ipocrisia che già avevano cominciato a scorrere. E quando, proprio alla fine dei nostri canti, si è messo a piovere, forse a ragione o forse a torto, abbiamo pensato che stessi ricambiando il saluto.
Non molto tempo dopo ho scritto per te una poesia che rimane nel mio portafoglio da allora, minuscolo simbolo di un’enorme verità: tu sei la poesia che portiamo con noi, sempre.
I love you more
Delia