May 19

Vegani che Muoiono di Fame (Ma anche No) – Vegans Starving (Or Maybe Not)

(English version below)
Le mie prime due settimane da vegana sono volate con inaspettata facilità, fra voglia di sperimentare e miti sfatati.
Una delle leggende urbane più diffuse è quella secondo cui i vegani debbano necessariamente mangiare “cibi esotici” quali mango, soia e tofu, cose che gradivo anche quando ancora ero onnivora, ma di cui non sento particolarmente la necessità di abusare.
Di fatto, spesso e volentieri, si mangia vegano senza neppure accorgersene.
Vi vedo storcere il naso.
Ma come? Non avete mai mangiato pasta al pomodoro? Una pizza rossa? Spaghetti aglio olio e peperoncino? Pasta e fagioli (resa tanto famosa da Dean Martin)? Riso e lenticchie?

Semplicemente i vegani e la dieta vegana non sono necessariamente tanto strani quanto i meme di internet li vorrebbero.
Cambiare modo di mangiare porta poi a voler sperimentare; cosa particolarmente carina per me che invece col cibo ho sempre avuto la tendenza ad essere abitudinaria. Gli esperimenti non devono essere per forza complessi. Ad esempio l’altro giorno ho saltato in padella peperoni e melanzane con del basilico fresco per condire i fusilli. Sto scoprendo attraverso queste piccole cose che, forse, essere troppo abitudinaria, non fa più per me.

Speravo che diventare vegana potesse aiutarmi a darmi una calmata con la mia unica vera dipendenza fatta eccezione per musica e libri: i dolci. Purtroppo o per fortuna le cose non stanno affatto così. L’Espresso House offre frappini con crema di latte d’avena e la cioccolata vegana è di una bontà vergognosa; spesso la faccio a pezzettini e la gusto con della frutta secca, annaffiata da latte d’avena, di cocco o di mandorla. Niente male per una mangia-erba, eh?

English

My first two weeks as a vegan went by quickly and surprisingly easily, between some experiments and some myths proved to be wrong.
One of the most common urban legends says that vegans must eat “exotic food” such as mango, tofu or soy, but even though I’ve always liked them, I don’t particularly feel the need to abuse these ingredients.
As a matter of fact, quite often we eat vegan without even realising it.
I see you’re not convinced.
What? Have you never had pasta with tomato sauce? Or a pizza rossa?
Spaghetti aglio olio e peperoncino? Pasta with beans (the famous “pasta e fasul” mentioned by Dean Martin)? Rice with lentils?

Simply the vegans and the vegan diet might happen to be not as weird as the memes portray them.
Changing your diet can bring along the will to experiment, which is particularly nice in my case, since I’ve always had a tendency to eat the same kinds of food over and over. The experiments don’t need to be too complicated. For example, just the other day I put some pepper and eggplant in a frying pan, with a bit of fresh basil and extra virgin olive oil, so that I could later add them to my fusilli. I’m finding out, through these little things, that maybe going on over and over with the same habits is no longer the thing for me.

I hoped that becoming vegan might have helped to set me free from my only addiction other than music and books: sweets. Luckily or unfortunately it wasn’t so. Espresso House offers a frappino topped by oat cream and vegan chocolate is shamefully great; I quite often cut it into pieces and have it with dried fruit and oat, almond or coconut milk.
Not bad for a grass-eater, uh?

May 7

Avventura Vegana – A Vegan Adventure

(English version below)


Circa otto anni fa, il treno fischiò per la prima volta.
Mio padre aveva subito un intervento chirurgico da niente, che però lo costrinse a letto per qualche giorno, ed io volai in Sardegna per dargli una mano.
Un giorno mi chiese di preparargli del brodo di pollo, e per la prima volta in vita mia presi in mano un pollo intero, crudo. In quel momento fui colta dall’assoluta consapevolezza del fatto che quella bestiola, qualche giorno prima, zampettava allegramente da qualche parte, beccando mangime, e che adesso invece era lì, spellato, in una vaschetta di plastica, per finire sulla nostra tavola. Dovetti finalmente guardare in faccia la realtà: se le persone intorno a me non avessero considerato normale il fatto di mangiare carne, potendo scegliere un’infinità di alternative, non mi sarebbe mai venuto in mente di uccidere un animale per mangiarlo. Certo, sarei stata disposta a farlo per sopravvivenza, ma non per golosità.
In fin dei conti crescere è anche questo: rendersi conto della propria identità e dei propri valori al di là di ciò che chi ci sta intorno consideri normale.
Avrei voluto fare le cose in maniera graduale, ma la mia coscienza non me lo permise; nel giro di pochi giorni, a fatica, consumai quel che c’era in casa, poi smisi per sempre di mangiare carne e pesce.
Qualche giorno fa, il treno ha fischiato di nuovo.
Chiacchierando, Elisa (un’amica vegana), mi ha raccontato di con quale frequenza i vitelli e le mucche da latte vengano mandati al macello, e di come i pulcini maschi vengano ammazzati in massa. Anni fa avevo letto qualcosa riguardo ai pulcini tritati vivi, ma sembrava un racconto dell’orrore, avevo quasi preso per scontato che accadesse solo in alcuni allevamenti, invece è la regola. Non so perché fino a questo punto io sia stata tanto ingenua o superficiale, anche molti onnivori detestano i metodi degli allevamenti intensivi; sta di fatto che il treno ha fischiato, e ancora una volta razionalmente avrei optato per un cambiamento graduale, ma la mia coscienza non ne ha voluto sapere. Nel giro di un paio di giorni ho consumato il formaggio rimasto in frigo, dopo di che ho eliminato tutti gli alimenti di origine animale dalla mia dieta.
È fatta! Appartengo ufficialmente ad una delle categorie più odiate del web: sono vegana.
Non contenta, ho deciso di usare il mio blog per condividere l’inizio di questa avventura con tutti i curiosi, di parlare dei modi e dei motivi, senza alcun complesso di superiorità, con la consapevolezza che probabilmente nel mio armadietto dei medicinali ci sia qualcosa di testato sugli animali e che la frutta comprata potrebbe essere stata raccolta da un lavoratore sottopagato. Non ho mai ambito alla santità, ma penso sia lecito cercare di fare il minor danno possibile, o addirittura cercare di lasciare il mondo un po’ meno peggio di come l’abbiamo trovato al nostro arrivo.
Troppo?
Che importa? Tanto sono femminista e vegana; verrò accusata di essere una rompipalle a prescindere.

English

About eight years ago, the train whistled for the first time.
My father had to go through surgery. Nothing bad, but still he was forced to bed for a few days, therefore I flew to Sardinia in order to help him.
One day he asked me to cook chicken soup for him and, for the first time in my life, I held in my hands the entire body of an uncooked chicken. In that moment, suddenly, I became aware of the fact that – just a few days earlier – that chicken was somewhere, jumping around, eating its food, while now it was there, dead and skinned, and it had to end up wrapped in plastic, so that it could finally be on our table. I finally had to face the reality: if people around me didn’t consider normal to eat meat, having so many options, I would have never thought of killing an animal in order to eat it. Of course, I would have done it in order to survive, but definitely not out of greed.
At the end of the day growing up means even this: to understand who we are and which our values are, beyond what people around us consider normal.
I would have liked to proceed step by step, but my conscience did not allow me to. In a few days, struggling, I ate what was left, then I gave up meat and fish forever.
A few days ago, the train whistled once again.
While chatting, my (vegan) friend Elisa, told me about how often calves and milk cows are sent to the slaughterhouse, and about how tons of male chicks get killed. I read, years ago, about chicks being chopped up alive, but it sounded like a horror story, therefore I almost took for granted that only a few farms would do something like that, while that is – as a matter of fact – the rule. I don’t know why I was so naive, or superficial; even many omnivores are against intensive farming. The thing is that the train whistled, and once again I would have liked to change gradually, but my conscience didn’t want to hear anything about that. Within a couple of days I ate the cheese left in the fridge, and after that I banned all the products of animal origin from my diet.
Here we go! Now I officially belong to one of the most hated categories on the web: I’m vegan.
But that’s not enough: I decided to use my blog to share my adventure with all those who are curious, talking about my ways and my reasons, without any superiority complex, knowing that very likely in my medicine cabinet there’s something tested on animals, and that some of the fruit I buy might have been picked up by an underpaid worker. Being a saint was never my aim; I just think that we are all allowed to try to do as little damage as possible, or who knows, maybe even trying to leave this world in slightly better conditions than when we came.
Is that too much?
Who cares? I’m a feminist and a vegan, people would accuse me of being over the top in any case.