September 15

“Caro Zucchero, ti chiedo scusa”

15 settembre 2017

Caro Zucchero,
ti chiedo scusa. Forse però è il caso di spiegarti perché.
Ho ventisei anni e la musica, insieme alla letteratura, è da sempre per me ragione di vita. Vivo in Finlandia, ho fondato una band di nome Strega, in cui canto e scrivo i testi. Suono, o perlomeno cerco di suonare, quattro strumenti, e credimi, non spero certo di impressionare nessuno scrivendoti queste cose, le menziono piuttosto per darti un’idea di quanto spazio e di quale posto la musica occupi nella mia esistenza.
Sin da quando ero bambina ho amato molto alcuni tuoi pezzi; ero adolescente quando uscì la tua superba Indaco dagli Occhi del Cielo, che non solo mi piacque molto, ma mi lasciò dentro un segno che ancora oggi, a distanza di un decennio, non sono in grado di spiegare del tutto. Sospetto che abbia qualcosa a che fare con una forma di spiritualità profonda, distante anni luce da ogni tipo di bigottismo.
Eppure mi stavi antipatico.
Avevo nella mente ben fissa l’immagine di te che ringhiavi: “Ti sputo in bocca!”, le orecchie piene delle accuse di plagio a te rivolte.
Tuttavia non provare simpatia nei confronti di un artista non mi ha mai impedito di riconoscerne la qualità e di apprezzarne i lavori.

Alla fine di agosto, per puro caso, passando davanti al Tavastia, a Helsinki, ho letto il tuo nome nell’elenco dei prossimi concerti. Lo stupore è stato doppio: da un lato il Tavastia è un locale dove si esibiscono in genere band metal, dall’altro… “Caspita, Zucchero suona a trecento metri da casa mia!”.
Così ho comprato il biglietto, per curiosità, ma anche a scopo didattico, perché quando si spera di riuscire – un giorno – a vivere della propria musica, è giusto e costruttivo guardare da vicino chi non solo ce l’ha fatta, ma ce la fa da trent’anni.
Sono venuta al tuo concerto, riuscendo ad accaparrarmi un posto in prima fila, attaccata alla transenna, come piace a me.
Mi aspettavo semplicemente una serata gradevole, invece tu mi hai fatta ballare, cantare, saltare, urlare. Mi hai scaldato il cuore, mi hai commossa, mi hai fatta ridere di gusto. Hai suscitato in me stima e rispetto con il tuo genuino lasciare spazio ai fantastici musicisti che ti accompagnano. Di nuovo mi hai fatta ridere indicando me e il tuo tastierista sull’inizio di Senza una Donna, come se ti riferissi a noi due e io gli avessi spezzato il cuore, col tuo sguardo che si faceva sempre più divertito mentre domandavo: “Ma che dici? Chi? Io?”.
Insomma, contro la mia volontà, mi sei stato simpatico, e tanto.
Mi ha fatto uno strano effetto guardarti negli occhi senza i tuoi inseparabili occhiali da sole, perché ci ho visto dentro il riflesso di un’anima fragile.
Tornata a casa inevitabilmente, oltre a cominciare ad ascoltare a rotazione i tuoi pezzi, ho letto e guardato articoli, commenti e video in cui ti si accusava aspramente di svariati plagi, e lì mi sono resa davvero conto di quante cattiverie ti vengano rivolte.
C’è ignoranza o persino perfidia nell’accusarti di aver copiato Everybody’s Got to Learn Sometime, mentre Indaco dagli Occhi del Cielo ne è dichiaratamente la versione italiana (per non parlare del fatto che, in tutta onestà, l’hai resa di una poeticità immensa); lo stesso vale per chi ti attacca dal momento che in Un Kilo il riff è identico a quello di The Seed 2.0, dei Rooths. Certo: perché l’hai realizzata in collaborazione con il loro batterista; e potrei andare avanti citando pezzi che hai dichiaratamente ripreso, o a cui semplicemente hai fatto riferimento, senza mai mancare di rielaborare in maniera artistica, venendo riempito di calunnie da individui che non capiscono le regole della composizione e che non sanno come l’arte si cibi sempre di altra arte.
Poi mi è capitato di leggere una tua lettera ad un giornale, in cui definivi “diabolico” il modo di dipingerti di molti giornalisti, e mi sono sentita terribilmente in colpa, perché per tanti anni anch’io ho prestato ascolto a quel modo diabolico di dipingerti, mentre davvero non te lo meritavi. Per troppo tempo ho tenuto fede ad un modo pregiudizioso di guardarti e mi dispiace davvero, anche da un punto di vista egoistico, perché fa male rendersi conto di aver nutrito tanto a lungo un pregiudizio.
Certo, i giornalisti hanno avuto la loro fetta di colpa, ma io – soprattutto in qualità di fan di Michael Jackson, con una lunga esperienza nel vedere il proprio beniamino massacrato dai media – mi sarei dovuta informare molto prima, avrei dovuto darti il beneficio del dubbio e venire a guardarti più da vicino; invece l’ho fatto solo qualche giorno fa.
Mi auguro che anche per te valga la regola del “meglio tardi che mai” e spero di cuore che tu possa perdonarmi.
Purtroppo hai avuto la sfortuna di nascere in un Paese in cui un artista che ha lavorato con i Queen, Sting, Ray Charles e mille altri, invece di essere un vanto diventa un bersaglio; ma io non ho più intenzione di sparare, né di essere complice di chi lo fa.
Con affetto (sì, adesso te ne porto, e parecchio)
Delia

February 24

Il Violino e l’Arte di Procrastinare – The Violin and the Art of Procrastinating

(English version below)

Abbiamo tutti quel qualcosa che un giorno ci piacerebbe fare, vedere, raggiungere o provare, un sogno nel cassetto; perché l’essere umano ha bisogno di una direzione, altrimenti non avremmo inventato le bussole.
Sin da piccoli però ci viene detto e ribadito che non si può avere tutto, ma soprattutto non si può avere tutto e subito. Giusto e sacrosanto.
Saper aspettare il proprio turno è fondamentale, perché significa rispettare il turno degli altri; importante è anche sapersi dare delle priorità, nel caso in cui i nostri desideri vadano – per loro natura – a cozzare l’uno contro l’altro, visto che nessuno di noi (almeno, che io sappia) possiede il dono dell’ubiquità, né gode di un’infinita quantita di tempo da spendere su questa terra.
Ma c’è davvero sempre bisogno di aspettare?
Il web pullula di inviti a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma io non credo mai a questa sorta di populismo psicologico da social network. Piuttosto credo che quando si pensa a qualcosa che si desidera, sia il caso di chiedersi: “Perché non andesso?”.
Se c’è davvero qualcosa da attendere prima che un avvenimento si verifichi, qualcosa che è giusto e legittimo pensare che possa cambiare in tempi brevi, ma che non possiamo noi stessi influenzare nell’immediato, allora l’attesa non solo è giustificata, ma rappresenta un atto di forza, un non farsi trascinare dalla corrente preferendo puntar dritto a cio che realmente si vuole.
D’altro canto però, mentire e procrastinare sono due arti in cui gli esseri umani sono incredibilmente abili.
A volte siamo talmente abituati all’idea che per ottenere qualcosa di valido o di desiderato si debba aspettare, da non renderci conto che la svolta che stiamo aspettando non arriverà mai, anche perché non è niente di ben definito. A volte neppure noi sappiamo quale sia la conditio sine qua non del nostro sogno; magari perché, semplicemente, non esiste.
Nella vita non ho mai aspettato che le cose belle piovessero dal cielo, ho sempre vissuto nell’ottica di dovermi impegnare per raggiungere dei traguardi; chi crede nell’astrologia direbbe che non avrebbe potuto essere diversamente, dato che sono nata sotto il segno del Capricorno. Eppure ci sono cascata anche io, e non per un anno o due.
Ho sempre desiderato suonare il violino, ma da bambina non sono mai stata presa troppo sul serio; “Magari un giorno”, “Prima o poi”, mi sono sentita rispondere, fin quando – finalmente – all’età di undici anni mi venne regalato il tanto desiderato violino, da cui però non riuscii mai a cavare qualsivoglia suono. Scoprii anni dopo che non era stato a causa della mia incapacità, ma che i miei genitori erano stati truffatti; era stato loro venduto un violino da arredamento, spacciato per vero e proprio strumento musicale.
Da allora ogni volta che mi capitava di vedere un violino, ho sempre sentito una stretta al cuore. Mi ritrovavo davanti all’aborto di un sogno.
“Avrei sempre voluto suonare il violino, ma non succederà mai” pensavo nei momenti più negativi.
“Magari un giorno”
mi concedevo invece di fantasticare quando ero in buona.
 Ciononostante non ho mai neppure osato provare a mettere dei soldi da parte per acquistarne uno.
“Magari un giorno, magari un giorno”, e così son passati una ventina d’anni dal momento in cui per la prima volta ho sentito forte e chiaro il desiderio di imbracciare lo strumento.
Poi un bel giorno mi sono resa conto che non c’era un bel niente da aspettare, che ogni altro giorno d’inutile attesa sarebbe stato solo un giorno in meno di violino nella mia vita, che persino la disponibilità economica era una bugia, perché gli strumenti musicali si comprano anche a rate, come le case, e non necessariamente sono meno importanti di queste ultime.
Così, questa è la storia di come il violino mi ha strappata alle braccia dell’arte di procrastinare; ma la cosa più eccitante è che non si tratta di un finale, bensì di un inizio.

The Violin and the Art of Procrastinating

We all have that something that someday we would like to do, to see, to reach or to try, a secret dream, because a human being always needs a direction, otherwise we wouldn’t have created compasses.
Since childhood we are tought that we can’t have it all, and especially that we can’t have it all here and now. Right and fair.
Being able to wait for your turn means to be able to respect the moment when it’s someone else’s turn; it is also important to be able to give ourselves priorities, especially when our desires take too different direction because (at least as far as I know) to none of us belongs the gift of ubiquity, neither we have unlimited time to spend on this earth.
But do we really always need to wait?
The web is full of  contents inviting people to live every day like it were the last, but I never believe in this sort of social network populism.
I believe, instead, that when we’re thinking about somthing we long for, we should ask ourselves: “Why not now?”.
If there’s really something to wait for before something else can happen? Something we can rightfully think will change but that we cannot affect ourselves? In that case the waiting is not only justified, but it’s actually an act of strenght, a way of being loyal to ourselves sticking to what we actually want.
On the other hand, lying and procrastinating are two arts the human kind is incredibly skilled in.
Sometimes we are so used to the idea that we’re supposed to wait in order to gain something good that we don’t realise that, actually, the turning point we’re waiting for will never come, because it’s not something well defined. Sometimes we don’t know ourselves what our dream’s conditio sine qua non is; maybe simply because it doesn’t exist.
I’ve never been waiting for things to happen randomly, I’ve always been thinking that I had to work in order to reach my goals; those who believe in astrology would say that it couldn’t be any other way, since I was born under the sign of Capricorn. Still I got tricked, and not only for a year or two.
I always wanted to play the violin, but as a little girl I was never taken too seriously; “Maybe one day”, “Sooner or later” were always the answers, till when one day – finally – at the age of eleven, I was gifted a violin, as I always wished for, but I never managed to get any kind of sound out of it. I found out years later that it was not due to my lack of skills, but that my parents were scammed; someone sold them a decorative violin as a real and proper music instrument.
Since then, every time I saw a violin my heart was aching. I found myself in front of the abortion of a dream.
“I always wanted to play the violin, but it’s never going to happen” I thought in the most negative moments.
“Maybe one day” I allowed myself to think instead when I was in a good mood.
Despite this, I never even dared to try to save money in order to buy one.
“Maybe one day, maybe one day”, and it was like this that about twenty years went by since the moment when I first felt clearly that I wanted to have the instrument in my hands.
Then one day I realised that there was nothing to wait for, that every day added to my useless wait was just going to be one more day in my life without violin, and that even waiting for being able to afford one was a lie, because even music instruments can be bought in time, like houses, and they’re not necessarily less important than the latters.
So, this is the story of how the violin stole me from the arms of the art of procrastinating; and the most exciting thing is that this is not an ending, but a beginning.

February 4

Un Po’ di Cavoli Miei

A volte mi scordo del fatto che un blog sia anche, semplicemente, un diario online; poi però me ne ricordo, infatti eccomi.
Cos’è successo nell’ultimo periodo?
image201501140016Mi son dedicata prevalentemente a studio, musica e vita personale piuttosto che alla scrittura. Mi sono sentita, in tutta onestà, fortemente demotivata, perché un mondo in cui scritori di talento pubblicano a proprie spese, mentre nelle sale cinematografiche viene proiettato il film tratto da Cinquanta Sfumature di Grigio – per una scrittrice – è davvero demotivante.
Arrivi a chiederti se quello che fai possa davvero fare la differenza, soprattutto in un Paese in cui la gente non vuole leggere neppure quando il materiale è disponibile gratuitamente.
Dopo mille paranoie e mille capitoli non scritti (non per mancanza d’ispirazione, ma a causa dell’opprimente senso d’inutilità), mi sono risposta che non mi è dato sapere se effettivamente quello che scrivo faccia – o farà mai – la differenza nella vita degli altri, ma di certo fa la differenza nella mia. Per questo non posso appendere la penna al chiodo, nonostante a volte vorrei davvero esserne capace.
Mi sono ritrovata, la notte, a sognare di fare esattamente le stesse cose che faccio durante la giornata, ed essendo abituata a creature magiche, ad avventure assurde ed inquietanti, ad incontri meravigliosi e terribili, la diagnosi per quanto mi riguarda è inequivocabile: la disillusione e la ricerca di stabilità cominciano ad avvelenarmi la fantasia; ma non starò a guardare, non oltrepasserò la linea, continuerò piuttosto a cercare di trascinare il mondo dalla mia parte.
Non me la sento di portare avanti Desperate Housewriter, almeno per adesso; non mi va di forzarmi, piuttosto voglio scrivere quel che sento di dover scrivere. Lascerò online il trailer e i due capitoli pubblicati, perché trovo in tutta onestà che si tratti di qualcosa di carino e di simpatico, ma io ho bisogno di tornare alla narrativa; ho bisogno di Rabies e di Desdemona, e forse in qualche modo anche loro hanno bisogno di me.
Ho voglia di fare di più e di fare meglio, ho voglia del profumo di pagine appena stampate.
Come andrà a finire?

“Prendimi, prova a prendermi
a bruciare le mie partenze adesso
Muoviti tra le rapide del mio vivere
con la mia esperienza
Provaci a raggiungermi
con il peso dei tuoi rimpianti addosso
Facile, troppo facile, giudicare e poi
non buttarsi in gioco mai…

Provaci a riemergere
da quei sogni che
il tuo silenzio ha ucciso
Che ne sai dell’origine delle lacrime
se non ha mai pianto?
Provaci a scommettere
che al traguardo tu non sarai secondo
Agile è quest’anima
non puoi vincerla
non la puoi ingannare più
Prova a prendermi…”

Renato Zero, Prendimi

May 4

La Fattoria della Bile

7 Aprile 2012

“L’ansia, la paura che provo ogni volta che devo uscire di casa, per andare al lavoro, circondato da tutto quel vociare o talvolta assalito da un silenzio che mi gela il sangue nelle vene… Cosa ho?(…) Prima ce l’avevo con me stesso, adesso ce l’ho con me stesso e con gli altri, insomma ce l’ho con tutti. C’è qualcosa di oscuro in questo mondo, un male in più, un virus… e io sono il portatore sano di questo virus”.

-Da Edipo.com, di Gioele Dix e Sergio Fantoni –

“La ragione per cui son così triste,
in verità, non so nemmeno dirla;
mi sento come oppresso internamente,
ed anche voi mi dite che lo siete;
ma da dove mi venga quest’umore,
dov’io l’abbia trovato,
come ci sia caduto, di che è fatto,
da che nasce, lo devo ancora apprendere;
m’intorpidisce a tal punto lo spirito
che stento a riconoscere me stesso”.

-Da Il Mercante di Venezia, di William Shakespeare –
Dovrei trascorrere meno – molto meno – tempo navigando in Internet. Risorsa straordinaria, non lo si può negare, ma quanto veleno…

La logica delle “pagine contro”, non mi è mai stata molto chiara. Non parlo di quelle serie, che si propongono di opporsi ad ingiustizie concrete; parlo di pagine contro questo o quel cantante, contro tale scrittore o talaltro attore.
Ho poco tempo da dedicare a tutte le mie passioni; perché sprecarne parlando di gente che, secondo me, non merita attenzione? Piuttosto cerco, nel mio piccolo, di fare un po’ di pubblicità a ciò/chi apprezzo.
Me ne rendo conto: sembra un ragionamento piuttosto scontato, ma a guardarsi intorno non si direbbe.

I salotti televisivi e i talent show devono averci bruciato il cervello. Chiunque ha l’obbligo di avere una parvenza d’opinione su tutto; bisogna ad ogni costo criticare aspramente chi fa qualcosa in un modo che a noi non piace.
Ci sono momenti in cui LA rete diventa UNA rete; veniamo catturati, per finire dritti dritti in una gigantesca fattoria della bile. Frustrati, come cani rognosi ci sbraniamo fra noi.

La soluzione? Più amore. Suonerà molto cristiano rispetto a ciò che ci si aspetta da me, ma lo credo davvero.

May 4

La Gente che Conta

11 Giugno 2009

La gente che conta a volte neppure lo sa. E’ splendidamente ignara. La incontri per caso e ti segna. A volte ha un volto, a volte non ne ha nessuno, altre ne ha perlomeno tre o quattro.
La gente che conta è sempre, e dico sempre, assurda. E’ un mondo a parte. Vive di note e di abbracci, partorisce idee e creazioni. A volte quando si accorge di contare si irrigidisce un po’, poi fa le sue scelte.
La gente che conta è trasparente, è seria, eppure è capace di una dolcezza disarmante. E’ elegante fino all’inverosimile, ma per niente snob.
La gente che conta capisce, fondamentalmente capisce e comunica.
La gente che conta la porterò con me, a vita.